04/09/2008: Neostatalismo o socializzazione delle perdite?


Nelle ultime settimane si sono evidenziati due dati a livello macroeconomico. Il primo è la conferma che la “crisi dei mutui” non è finita, e che anzi, secondo l’Fmi, il peggio deve ancora arrivare. Il secondo è una presunta ripresa dell’interventismo statale, dopo decenni di deregulation, nel paese patria del neoliberismo, gli Usa. In un anno i 16 principali istituti di credito mondiali, espostisi con la spregiudicata speculazione sui mutui, hanno perso metà del loro valore di borsa, oltre 900 miliardi di dollari. L’ex prima banca mondiale, la statunitense Citigroup, che valeva 261 miliardi di dollari, ora ne vale 86. La Bear Stearns, una delle principali banche d’affari Usa, è stata salvata dalla Banca centrale, che ne ha favorito poi l’acquisizione da parte di JP Morgan a un prezzo stracciato. A metà di questo mese le autorità federali hanno assunto il controllo di IndyMac Bank, il terzo più grande fallimento bancario della storia Usa, che costerà al contribuente tra i quattro e gli otto miliardi di dollari.
Sempre a luglio altre due banche di minore entità sono fallite e passate sotto il controllo pubblico, mentre le banche a rischio fallimento, a primavera 90, sono salite a 150. Ma il principale salvataggio, che ha fatto parlare di reingresso dello Stato nell’economia, è quello a favore di Fannie Mae e Freddie Mac, istituti immobiliari per metà pubblici, che hanno subito un netto crollo in borsa. Il fallimento di questi due istituti porterebbe ad uno shock finanziario di proporzioni catastrofiche, determinando il crollo del mercato immobiliare, già in caduta libera. Insieme i due istituti possiedono o garantiscono cinquemila miliardi di dollari in prestiti immobiliari, la metà del totale. Essi permettono il funzionamento del sistema speculativo, di cui Bernanke, governatore della Banca centrale Usa, ha riaffermato di recente l’utilità, perché il mercato da parecchi mesi non accetta quasi più di investire nelle cartolarizzazioni dei mutui delle grandi banche, e accetta solo quelle di Fannie Mae e Freddie Mac, visto che gli investitori le considerano implicitamente sostenute dal governo.
Infatti, con l’approvazione democratico-repubblicana dell’Housing Bill, finora il più vasto progetto di intervento pubblico, oltre a garantire sgravi fiscali e rifinanziamenti di mutui a rischio, si estendono linee di credito illimitate ai due istituti immobiliari. L’obiettivo, più che difendere i cittadini in pericolo di perdere la propria casa, è mantenere il castello di carte finanziario sul quale l’economia Usa si è retta fino ad ora, secondo il classico principio della privatizzazione di profitti, come è accaduto nel periodo del boom speculativo, e della socializzazione delle perdite, quando la bolla scoppia. Infatti, il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac potrebbe costare al contribuente 25 miliardi di dollari. Inoltre, se i due istituti fossero nazionalizzati, il debito federale salirebbe di colpo da 9,5 trilioni di dollari a 14,5, una cifra impressionante che, aggiungendosi all’enorme debito del commercio estero, che non accenna a ridursi nonostante la svalutazione del dollaro, aggraverebbe la già difficile situazione economica e valutaria internazionale degli Usa. Infatti, la valuta Usa, dopo essere risalita rispetto all’euro, sull’onda dell’Housing Bill, è ricaduta ai suoi soliti bassi livelli.
Piuttosto che davanti ad un cambiamento di rotta di politica economica siamo davanti al tentativo di creare una rete protettiva a quel rifugio che il capitale internazionale, in primis quello Usa, si è creato nella pura speculazione, da Reagan fino a Bush, per sfuggire alla sua crisi produttiva reale.

di Domenico Moro
Da www.resistenze.org - osservatorio - economia - 01-08-08 - n. 239

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