01/12/2008: Lettera dal carcere di Opera


Sono ... detenuto presso la Casa circondariale di Opera (Milano).
La mia posizione giuridica è: "fine pena mai". Ho espiato oltre venti anni di carcere per un reato mai commesso. Per mia scelta e forma di protesta non ho chiesto nessun beneficio perché, come ho scritto sopra, sono totalmente estraneo al reato delittuoso ascrittomi.
Comunque questo non mi impedisce di darvi delucidazioni sull’andamento di questo carcere.
Sono qui da più di due anni e, come si dice, per ammazzare il tempo mi ero iscritto alla scuola superiore e sono arrivato fino al quarto anno di ragioneria. Vi spiego perché ora non vado più a scuola. Quest’anno hanno spostato le aule in un’altra ala del carcere, per arrivare in queste aule dobbiamo passare attraverso due metaldector e per quattro volte al giorno, due in andata e due in ritorno. Ho fatto notare che, anche se questi rilevatori sono operanti a basso voltaggio, l’attraversarli ripetutamente fa male. Ho detto loro che mi perquisissero a mano, che in caso contrario mi avrebbero costretto a non andare a scuola. Si sono fatti i loro conti, non mi hanno degnato di una risposta, così adesso non vado più a scuola. Come ho letto dalle testimonianze da voi pubblicate, si è vero, le guardie sono arroganti.
Riguardo alla sanità: nei due anni che mi trovo qui il dottore l’ho visto 4-5 volte. Se ho bisogno di qualche specialista mi rivolgo all’infermiere, il quale a sua volta informerà il medico di segnarmi alla visita specialistica da me richiesta.
Il mese scorso sono andato a Catania per motivi giuridici. So che quando si arriva in un carcere, per prima cosa devi passare dal medico. Qui a Opera usa, l’ho provato al ritorno da Catania, in questo modo: il medico compie le visite nel corridoio e non in infermeria. A me ha chiesto come stavo, non riconoscendo chi fosse, gli ho chiesto che cosa gliene fregasse della mia salute. Questa mia risposta l’ha presa male, mi ha detto che lui non si fa trattare in quel modo da un detenuto. Gli ho risposto dicendogli di presentarsi e chiedendogli come mai, se era dottore, faceva le visite in corridoio. Alla fine sono stato accompagnato nel suo ufficio. Quello che mi ha maggiormente urtato è stata la complicità delle guardie, alle quali comunque ho detto che coprono uno che non fa bene il suo mestiere.
Vi spiego come è la cella: è lunga circa 4 mt, larga 2,40, le brande sono state sistemate una a destra e l’altra a sinistra, quindi, dopo lo spazio occupato dalle brande restano un paio di metri. Lì, da una parte, è stato ricavato il bagno, senza finestra, dall’altra c’è un tavolino e una fila di cestelli impilati in cui mettiamo cibi e le nostre cose. Vorrei che anche voi vi chiedeste: come possono due persone trascorre una giornata intera in un metro e mezzo quadrato. E infatti, se uno si mette al tavolo l’altro per forza di cose deve stare sdraiato nel letto.
Sono uno di quelli che considerano il carcere come carcere, si sta male e basta. Le carceri d’Italia sono all’incirca tutte da buttare o chiudere. Non solo sono brutte le strutture. A differenza delle carceri europee o americane, qui fare il colloquio è uno strazio. A differenza di quel che avviene in altri stati, qui in tutti i modi tentano di allontanarti dalla famiglia. Qui a Opera ci sono tanti meridionali, le loro famiglie, per venirli a trovare, compiono delle vere peripezie. I più fortunati possono permettersi l’aereo, i meno fortunati prendono il treno o vengono in auto. Così, per un’ora di colloquio rimangono in giro per l’Italia 3-4 giorni. Ve ne sono altri ancor più sfortunati, quelli che non hanno una lira e che ogni due o tre anni fanno richiesta di avvicinamento-colloqui, che non sempre viene accordata.
Insomma le carceri italiane sono una sofferenza per il detenuto, ma anche per la sua famiglia. In tutti i modi si cerca di dividere il detenuto dalla sua famiglia. Come dicevo, in America o in Europa, le cose sono molto diverse. Per esempio, là tu puoi telefonare più volte al giorno, qui una volta alla settimana – se sei stato arrestato prima del ’92, altrimenti due volte al mese [probabilmente questa "aggravante" stabilita dalle guardie, si riferisce a chi è stato condannato con l’art. 416 bis, “associazione a delinquere di stampo mafioso”, distinguendo fra chi arrestato prima e dopo i fatti accaduti in Sicilia nella primavera-estate 1992, uccisioni di Falcone, Borsellino ecc. ndr].
I colloqui in America si consumano in un giardino, in uno spiazzo, dove è possibile passeggiare con i famigliari, invece qui si svolgono in una stanza, dove più di dieci famiglie vengono accalcate, dove non riesci a sentirti, non si capisce nulla, il frastuono è tremendo.
Qui in cella trascorri quasi 20 ore al giorno, in America 10 ed inoltre sei libero di muoverti per l’istituto. Qui fuori dalla cella vieni sempre accompagnato da un agente. Insomma le carceri italiane e la mentalità di chi le gestisce sono da cambiare. Non soffermatevi solo sul carcere di Opera.
Il peccato che si compie tutti i giorni in questo istituto è il seguente: di qualsiasi cosa tu detenuto hai bisogno, questa ti viene data come ti facessero una cortesia e non un servizio quale esso è.
Come saprete anche voi, siamo assegnati in diversi circuiti: 41 bis, EIV, AS e comuni. E’ già difficile ottenere dei benefici nel circuito comuni, provate a pensare come funziona negli altri.
Da qualche anno c’è il nuovo direttore, sto notando dei cambiamenti, per esempio l’allevamento delle quaglie, la gelateria. Sono gocce in questo mare di disordine e inciviltà.
Chiudo qui questo mio scritto.
Sarò sempre felice di parlarvi della realtà carceraria italiana.
Distinti saluti.

Opera, 10 ottobre 2008

http://www.autprol.org/