22/06/2009: Lettera dal carcere di Alessandria


E’ passata una ventina di mesi da quando, il 12 giugno 2007, durante una camminata su per i sentieri delle alpi Apuane insieme a Francesco, siamo stati fermati da alcuni automi in borghese con tanto di pistole in pugno che, dopo averci informati che eravamo accusati di aver rapinato un ufficio postale qualche ora prima, ci hanno arrestati. Col passare dei mesi comincia ad intravedersi la reale sostanza di questa inchiesta quando passa tutto nelle mani della super procura fiorentina che nel gennaio 2008 ordina una serie di perquisizioni in Toscana con la scusa di cercare una pistola che sarebbe stata usata nella rapina. La farsa si rivela definitivamente per quello che è nel maggio 2008 quando il P.M. titolare dell’inchiesta, tale Giuseppina Mione, rispolvera il 270 bis (nemmeno troppo impolverato) chiedendo il carcere per 12 tra compagne e compagni vicine/i al circolo anarchico ecologista di Via del cuore a Pisa. Il P.M. sostiene che la rapina sarebbe stata finalizzata al finanziamento di un’associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Il G.I.P. emette 4 ordinanze di custodia cautelare in carcere (per me, Francesco, Leo e Paola). A fine gennaio 2009 le indagini vengono chiuse, 13 risultano essere le compagne e i compagni indagate/i, a tutte/i viene contestato il 270 bis, a me, Francesco, Leo e Paola di essere coinvolti a vario titolo nella rapina, inoltre a me e Francesco ci contestano anche la ricettazione di una moto che sarebbe stata usata per compiere la rapina. Ad oggi io e Francesco siamo in carcere, Paola  dopo più di 8 mesi tra carcere e domiciliari ha la firma tre volte la settimana e Leo risulta irreperibile. Questo per fare una breve ricostruzione dei fatti.
Non mi interessa in questa occasione dilungarmi su quel che gli automi spioni hanno scritto nei loro fogli, tantomeno intendo lanciarmi in una difesa dalle accuse che mi vengono mosse, aggrappandomi a concetti che non mi appartengono come quello di innocenza/colpevolezza. I termini propri dei tribunali, dei salotti democratici e delle gogne mediatiche li lascio a chi giudica le persone sulla base del codice penale che, come qualsiasi codice e leggi imposte da uno stato, non è che uno strumento finalizzato ad organizzare gerarchicamente la società, a mantenere l’assetto politico-economico-sociale, a tutelare gli interessi di pochi e ad assicurare una condizione di sottomissione e sfruttamento alla maggior parte della popolazione. Evito quindi di fornire qualsiasi tipo di elemento utile a far maturare, sia pur inconsciamente, un giudizio basato su codici e leggi che lo stato ci impone. Piuttosto credo che sia più importante focalizzare l’attenzione sulla manovra repressiva che va al di là di questa specifica inchiesta ma di cui, questa inchiesta, è sicuramente parte.
Sono anni che assistiamo al susseguirsi di inchieste per 270 bis che vedono coinvolte/i compagne e compagni che frequentano il circolo anarchico ecologista di Via del cuore a Pisa. Inchieste che indiscutibilmente vanno ad inserirsi all’interno di un’unica manovra tesa a porre fine all’esperienza del circolo di Via del cuore e così sradicare una realtà di critica radicale dal territorio. Stessa cosa è successa e sta succedendo nei confronti di altre realtà di critica radicale non solo in Italia.
Perché ovunque magistrati, sbirri e tutti gli altri servitori del potere vorrebbero che di fronte ad un’esistenza squallida fatta di sottomissione, alienazione e sfruttamento, di fronte ad una realtà caratterizzata dall’oppressione di pochi su molti, dallo sfruttamento e il dominio dell’essere umano sull’essere umano, sugli altri animali e sulla terra, da devastazioni perpetrate in nome del denaro, per il mantenimento ed il progresso della civiltà tecno-industriale, di fronte a tutte le odiose ed infami peculiarità dei singoli stati, ecco vorrebbero che di fronte a tutto questo volgessimo lo sguardo altrove invece di tenerlo fisso su coloro che tutto questo generano e da questa miseria generalizzata traggono giovamento.
Vorrebbero che la paura di perdere quella che si affannano chiamare “libertà” ci facesse abbassare la testa, ci immobilizzasse.
Vorrebbero che di fronte alla prospettiva di vedere gabbie e catene più o meno astratte (leggi, codici e regole imposte dagli stati) trasformate in gabbie, sbarre e catene ben più concrete (come sono quelle di un carcere) ci rassegnassimo ad accettare tutto quello che ci impongono, imparassimo ad amare le catene e le gabbie che quotidianamente stringono i nostri polsi e rinchiudono i nostri pensieri, e rinunciassimo così a lottare per la libertà di ogni essere vivente. La libertà vera! Non la loro.
Nella società galera la libertà viene negata, è sostituita da quelle ridicole possibilità democratiche che vengono concesse. Si tratta di briciole che per il fatto stesso di essere concesse da qualcuno, possono in ogni momento essere negate, ma soprattutto le briciole non sfamano, anzi, prolungano l’agonia e in più rendono servili e dipendenti. Contrattare sulla quantità o chiederne di più grosse è una pratica triste e degradante.
Riappropriamoci delle nostre esistenze, della nostra libertà e di tutto quello che da troppo tempo ci è stato tolto! Un abbraccio alle compagne e i compagni indagate/i, a Francesco, a Paola e a Leo, a coloro che con i metodi che più ritengono opportuni lottano per la libertà di ogni essere vivente.
Con la testa alta e lo sguardo ben fisso
Saluti ribelli

Daniele

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