11/11/2009: LO STATO UCCIDE, TORPIGNATTARA BRUCIA


Sabato 7 novembre a Torpignattara eravamo in tanti. Mille, mille e cinquecento... ma soprattutto c’era chi in quel quartiere ci abita e ci vive. Hanno voluto ricordare Stefano Cucchi, il giovane di 31 anni ucciso nel carcere di Regina Coeli. Massacrato e ammazzato di botte da sbirri e servi dello Stato.
La manifestazione è partita da via dell’Acquedotto Alessandrino, dove si sono registrate le prime tensioni con la polizia. Dalle finestre sono volate bottiglie e altre cose, lanciate contro i blindati, sotto il coro “assassini”.
Il corteo si è fermato sotto la casa di Stefano, in via Ciro da Urbino 55, sempre nel quartiere Torpignattara dove Stefano era nato e cresciuto.
Il corteo è poi ripartito in direzione del mercato ortofrutticolo di Torpignattara.
La militarizzazione dell’area, le provocazioni continue della polizia hanno saturato un clima di tensione e rabbia. Sono scoppiati tafferugli e scontri con gli agenti, in prima fila i ragazzi del quartiere che hanno partecipato in buon numero e che vivono quotidianamente sulla loro pelle la vita delle periferie, fatta di deserto e mancanze, così come di prepotenza e arroganza poliziesca. Sono stati rovesciati e incendiati cassonetti, lanciati petardi e oggetti.
In via Torpignattara la polizia ha provato a effettuare cariche, sparando lacrimogeni. Le tensioni che si sono ripresentate, una volta ricompattato il corteo, in conclusione di manifestazione: tafferugli sulla via Casalina con blocchi stradali, cassonetti rivoltati, forze dell’ordine schierate. Non ci sono notizie di fermi e di feriti.
Una bella risposta del quartiere così come di tutti coloro che hanno voluto esserci, per ricordare Stefano Cucchi.
Stefano è solo l'ultimo di una lista molto incompleta di morti ammazzati dallo Stato.
Solo pochi giorni prima, lo Stato ha impiccato Diana Blefari.
Con Stefano e Diana ricordiamo: Aldo Brianzino, Stefano Frapporti, Federico Aldrovandi e Carlo Giuliani... e tanti altri, ribelli o solo scontenti di una società di merda.
Riportiamo di seguito due comunicazioni diffuse sabato 7 novembre.

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STATO ASSASSINO
Tra il 15 e il 16 ottobre un ragazzo normale del nostro quartiere, Stefano Cucchi, è arrestato. Dopo sei giorni di martirio muore. Muore di quella malattia, di quella catastrofe, di quell’emergenza che tutti i giorni, le settimane, i mesi ineluttabilmente ci perseguita e ci colpisce, ci opprime e ci umilia: lo Stato italiano.
Le calamità “naturali” sono di diverso tipo, inondazioni, terremoti, frane, maremoti. Anche lo Stato italiano ha diverse facce, polizia, esercito, secondini, giudici, medici compiacenti, sciatti burocrati e sicari ammaestrati.
E Stefano è stato ucciso da tutte queste facce e il suo calvario conta tante stazioni quante quelle del più noto Gesù Cristo.
E per questo la verità per una volta diciamo di conoscerla già. E per questo non chiederemo giustizia a quegli stessi poteri che da anni mostrano, senza nemmeno la più minima ipocrisia, di ritenersi al di sopra di ogni considerazione etica e umana.
L’ucciso non chiede giustizia all’assassino.
Per noi avere verità e giustizia significa mettere gli assassini con le spalle al muro. Perché se non teme il “suo” popolo, lo Stato si sente onnipotente. Perché se non temono i “loro” lavoratori, i padroni sono arroganti.
Per noi avere verità e giustizia e, soprattutto, darla a chi, impotente, si rivolge a politicantucoli, avvocaticchi e giornalastri, vuol dire diventare forti, insieme.
E diventare forti significa, una volta per tutte, decidere di organizzarsi nei territori, nei posti di lavoro, nelle scuole. Vuol dire ricominciare a sacrificare il proprio tempo per sé e per gli altri, senza regalare la nostra vita a padroni e politici.
Lo dobbiamo alle decine di combattenti rivoluzionari, di ribelli, di semplici ragazzi di tutte le patrie, di tutte le razze, di tutte le religioni, o di nessuna, che muoiono ogni giorno di Stato e di Lavoro.
Un sorriso e un saluto a Stefano. Un abbraccio alla famiglia. Ora tocca a tutti noi. Il futuro è nostro.

COMITATO DI LOTTA QUADRARO

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MORIRE DI STATO
Salutare un figlio. Rivederlo morto. E' il dramma di Patrizia, madre di Federico Aldovrandi, ucciso da quattro poliziotti durante un fermo. E' il dramma di Ornella madre di Nike Aprile Gatti, morto nel carcere di Sollicciano (Firenze). E' il dramma di Maria, madre di Manuel Eliantonio, morto nel carcere di Marassi a 22 anni. E' il dramma della mamma di Stefano Cucchi, morto in carcere a Roma dopo un arresto per pochi grammi di droga. Uno stato che sottrae un figlio e lo restituisce morto, negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.
In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le Madri per Roma Città Aperta vogliono interrogarsi su questi eventi, su queste maternità negate che calpestano i diritti dell'individuo e rappresentano un gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia. Anche queste morti appartengono al tema della sicurezza. Sicurezza anche dei cittadini quando hanno a che fare con le istituzioni repressive e carcerarie. Per questo come madri non vogliamo dimenticare Nabruka Mimuni, la donna che si è tolta la vita nella notte tra il 6 e il 7 maggio di quest'anno nel lager di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Abbiamo contestato ai vari sindaci la risposta xenofoba e repressiva delle istituzioni a fenomeni di grave disagio e precarietà, che ha alimentato episodi di razzismo e violenza, opponendo, praticando e sostenendo la cultura della diversità e del rispetto.
Vogliamo affrontare il tema della sicurezza portandolo anche dietro le mura di un carcere o di un CIE. Vogliamo riproporre il tema dei diritti dentro la città e soprattutto nei luoghi dove sembra che rappresentanti dello Stato possano esercitare un diritto di vita e di morte su cittadini italiani e stranieri.
Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien a men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la dignità e i diritti dei suoi figli strappati alla vita.

Comitato Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta@libero.it

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