05/02/2010: Dichiarazione degli imputati del processo per i blocchi al porto di Genova (2007)


Vorremmo fare alcune considerazioni riguardo ai fatti per cui siamo imputati che risalgono alla giornata del 14 aprile del 2007, il giorno successivo alla morte sul lavoro del portuale Enrico Formenti.
Appresa la notizia, abbiamo interrotto il nostro lavoro e siamo immediatamente corsi al porto, più precisamente presso il varco di ponte Etiopia, dove già molti lavoratori portuali erano scesi in strada bloccando il traffico per manifestare la propria rabbia e per informare la città dell’accaduto.
Noi ci siamo uniti a loro e crediamo tutt’oggi che sia stata la cosa giusta.
Non si possono scindere le accuse che ci vengono rivolte da ciò che accadde in quelle giornate.
Per 3 giorni il porto e le strade ad esso limitrofe (precisamente piazza Barbino e Lungomare Canepa) sono stati bloccati.
Noi tutti, lavoratori e non, non possiamo accettare passivamente di vedere gente che in porto come in fabbrica o nei cantieri viene coperta da un lenzuolo bianco e portata via già morta da un’ambulanza, e in quei giorni lo abbiamo dimostrato.
Diciamo questo da operai, perché tutti sanno che in Italia moriamo al ritmo di quasi quattro al giorno, a cui andrebbero aggiunte le centinaia di persone che muoiono mentre lavorano “in nero” e che non figurano nelle statistiche.
Diciamo questo anche da militanti politici che credono che questa società e questo modello economico, che vengono descritti come il migliore dei mondi possibili, vadano cambiati.
Non è sicuramente un caso il fatto che ad essere alla sbarra oggi siamo solo noi sei tra le centinaia di lavoratori che hanno attraversato le manifestazioni ed i blocchi di quei giorni.
Ad essere sotto accusa oggi è infatti la solidarietà tra lavoratori e tra persone che dalle più disparate zone di Genova quel giorno hanno agito insieme per protestare contro l’ennesima morte ingiusta.
Siamo stati denunciati noi perché questi rapporti sociali fondati sulla solidarietà li vogliamo estendere e su di essi abbiamo impostato le nostre vite.
Tornando ai blocchi, ovviamente facevamo passare i mezzi di soccorso, i mezzi pubblici, ed è capitato anche con qualche autovettura con a bordo dei bimbi o persone anziane, fino a quando non arrivò la polizia municipale a deviare il traffico.
Quindi quanto accaduto è solo colpa di chi ignorando la deviazione dei vigili ha tentato di forzare il blocco rischiando di mettere sotto qualcuno… come nel caso del Loy che comunque rimane l’unica macchina danneggiata nel tentativo di fermarla prima che qualche persona fosse davvero investita.
(Per la cronaca una persona era già stata colpita alle gambe dall’autovettura.)
Rimane un mistero la questione della Clio guidata dal Pesce che dice di aver subito danni all’autovettura e che nessuno dei presenti ricorda.
E’ paradossale essere accusati di “violenza privata” quando quei giorni è stata commessa la più grande delle violenze nei confronti di una famiglia che non ha visto tornare a casa un padre e un marito.
Quel giorno è morto un lavoratore in porto e ne sono morti altri due in questi due anni. Fabrizio e Gianmarco.
Quale arma abbiamo in mano noi lavoratori per fermare questo massacro?
L’unica nostra possibilità è quella di bloccare la produzione e il transito delle merci ,quando muore qualcuno di noi, toccando i padroni nel portafoglio per fargli capire che le nostre vite hanno un prezzo più alto della tanto sbandierata sicurezza.
Esprimiamo infine la nostra solidarietà al nostro coimputato Gianfranco Zoja detenuto nel carcere di Siano.

Fonte: Indymedia

http://www.autprol.org/