16/11/2011: La libertà non si chiede, si conquista


Nelle carceri italiane l’estate non è stata molto diversa dagli anni passati, ci sono state lotte un po’ in tutta
Italia, soprattutto nelle carceri delle grandi città.
In modo più o meno organizzato i detenuti hanno strutturato orari di battitura, scioperi del carrello, della spesa e
della fame. In alcuni casi i detenuti hanno firmato un esposto, indirizzato al Ministero di giustizia, col quale
denunciavano le condizioni di vita disumane nelle carceri, sottolineando l’assenza delle équipe educative e mediche.

Le risposte che il DAP e il Ministero daranno a questi esposti non saranno diverse da quelle date fino ad ora, ovvero:
- aggravamento delle pene per le persone recidive;
- aumento ed estensione del regime punitivo dell’art. 14-bis dell’o.p., che colpisce con l’isolamento per 6 mesi,
rinnovabili, tutti coloro che in galera non accettano di sottomettersi ai soprusi;
- aumento del numero dei “suicidi” e delle morti per “cause naturali”, fra le quali vengono spesso annoverati i decessi
avvenuti a seguito di pestaggi da parte delle guardie (nei primi 6 mesi del 2011 nelle carceri italiane hanno perso la
vita 100 detenuti);
- intensificazione della censura sulla posta;
- aumento dei prezzi dei beni acquistabili all’interno delle carceri, costringendo in questo modo i detenuti a gravare
sui familiari o, per i meno fortunati, sui compagni di cella. A questo si aggiunge la diminuzione dei cibi che possono
essere portati dai familiari con regolamenti che variano da carcere a carcere nonché dalla discrezionalità della guardia
di turno. I detenuti sono costretti a comprare persino la carta igienica e le lampadine, i medicinali e i prodotti per
l’igiene della cella perché la direzione carceraria ormai non fornisce pressoché nulla;
- reintroduzione della pena per oltraggio a pubblico ufficiale;
- ridefinizione in modo discrezionale dei limiti della “modica quantità” per la detenzione e la coltivazione di sostanze
stupefacenti;
- prolungamento da 6 a 18 mesi del tempo di reclusione nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) per gli
immigrati.

Si capisce quindi che non c’è alcuna volontà di risolvere i problemi né tanto meno le cause.
L’esito della recente discussione al Senato conferma invece che l’unica forte volontà è quella di costruire nuove
strutture carcerarie, nella convinzione che l’elevato numero dei detenuti sarà inevitabilmente destinato a salire, così
come accade da almeno un decennio. Una realtà tanto drammatica ed esplosiva da giustificare lo “stato di emergenza”,
dichiarato dal governo fin dal gennaio 2010. Un’emergenza che però non riguarda le condizioni di vita dei quasi 70 mila
detenuti nelle carceri italiane, più qualche migliaio nei centri di espulsione. E’ certo che l’ampliamento del numero
delle celle non servirà a distribuire in più spazio lo stesso numero di detenuti ma a rinchiudere un numero crescente di
persone.
La sola urgenza del governo è quella di indirizzare i fondi pubblici nelle tasche dei padroni, sempre più preoccupati
dagli imprevisti della crisi economica globale. Una soluzione che – come per l’Alta Velocità (TAV), le “grandi opere” e
la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali – va bene un po’ a tutti, perché accontenta imprenditori e politici
sia di destra che di sinistra.
La gravità della situazione nelle carceri non solo non costituisce il problema ma è del tutto utile alla realizzazione
di queste scelte. L’emergenza permette, come è stato per L’Aquila post-terremoto, di derogare dalle leggi vigenti in
materia di appalti pubblici, di tutela ambientale e di sicurezza del lavoro. Mentre si taglia e si privatizza ciò che
resta della sanità, dell’istruzione e dei trasporti pubblici, aumentandone i costi, si trovano i fondi per costruire 11
nuove carceri e 20 padiglioni, opere dichiarate dal governo di “pubblica utilità”.

Vista la situazione, come si può pensare ad amnistia, indulto o ad un qualsiasi provvedimento di liberazione anticipata?
Nel 2006 un provvedimento di indulto permise la scarcerazione di 22 mila persone ma, nel giro di due anni, non solo si
tornò al sovraffollamento iniziale ma in situazione interna ben più aspra, dovuta ai tagli alla spesa pubblica
intercorsi in quel periodo.
La legge sull’applicazione dei domiciliari, del dicembre 2010, ha portato fuori dal carcere soltanto 3 mila persone in
quasi un anno, lasciando completamente inalterata la situazione, nonostante fosse in vigore lo “stato di emergenza” già
dall’inizio dell’anno.
Crediamo che un provvedimento di liberazione anticipata non possa cambiare la realtà all’interno delle carceri in modo
concreto e stabile. Anzi, questa potrebbe anche peggiorare se la liberazione venisse concessa sulla base dei criteri
premiali e punitivi definiti dallo stato, perché avrebbe l’effetto di indebolire la solidarietà e l’unità che sono la
vera forza di ogni lotta.
Per questo noi siamo senz’altro contro la premialità e la differenziazione che creano l’individualismo del “si salvi chi
può”; la liberazione anticipata é un obiettivo immediato e irrinunciabile ma dev’essere ottenuta in modo generalizzato
ed egualitario.
La lotta deve servire a rafforzare la solidarietà e l’organizzazione all’interno e con l’esterno perché le proteste
estive hanno espresso rivendicazioni più ampie della sola amnistia, che necessitano di forza, coraggio e intelligenza
per poter essere sostenute efficacemente.

Una piccola parentesi per capire meglio alcuni termini.
L’amnistia è una mela buona, prende il reato e lo cancella. Ma, proprio perché è buona, la distribuiscono poco ovvero la
applicano (se mai la applicheranno) a quei reati cosiddetti ordinari, come ad esempio quelli contro il patrimonio ma se
vi è una qualsiasi aggravante non si ha più diritto all’amnistia: il furto semplice viene amnistiato ma non se vi è
un’aggravante ma si sa che quasi nessuno è dentro per furto semplice.
Va anche detto che se intervenisse un’amnistia, uno dei pochi vantaggi che se ne potrebbe trarre sarebbe quello che
verrebbero amnistiate un po’ di multe, cioè quelle “pene pecuniarie” che accompagnano sempre una condanna penale. Questo
non è assolutamente secondario perché, se non pagate dopo la condanna, queste multe impediscono di avere accesso ad
alcune semplici cose come ad esempio il passaporto oppure se viene disposto il blocco anagrafico la carta d’identità non
è più valida per l’espatrio; se la multa non viene pagata si può essere sottoposti a misure di sicurezza e di
conseguenza al ritiro della patente.
La gran parte delle persone uscite dal carcere non paga le multe e quindi, di fatto, sono sempre costrette a
restrizioni, non c’è scampo. Non tutte le multe comunque verrebbero amnistiate ma solo alcune, la ragione, se c’è, come
spesso in questi casi, è difficile afferrarla.

L’indulto fa uscire anche detenuti con pene più lunghe, reati quindi più gravi, ma è una mela meno appetitosa
dell’amnistia. Infatti é implicita nell’indulto l’applicazione della “reiterazione specifica infraquinquennale”, cioé la
recidiva sullo stesso tipo di reato: se si é beneficiato dell’indulto e si viene riarrestati entro 5 anni e si prende
una condanna superiore ai 2 anni, si torna dentro con l’aggiunta della pena che era stata “scontata” con l’indulto.
Oltre alle due mele, buona e meno buona, c’è poi la possibilità, per chi ha raggiunto gli ultimi tre anni di pena, di
poter uscire ma, come ben sappiamo, pochissimi possono godere di questa possibilità (per mancanza di un alloggio
considerato idoneo, per mancanza di sintesi, ecc).
Esclusi a priori da tutto ciò sono i “reati ostativi” (“associazione sovversiva”, “terrorismo internazionale”,
“associazione di stampo mafioso” ecc.) ai quali vogliono aggiungere anche il “reato” di rapina.

Ottobre 2011, OLGa - Milano
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